Gallipoli non è solo la tipica città marinara con spiagge e divertimenti notturni. È anche un centro ricco di storia, bellezza e cultura. Il centro storico, in particolare, è costellato di chiese e, tra le loro alte navate, riecheggiano i racconti di un passato mai del tutto scomparso.
Così appare la Chiesa di San Francesco d’Assisi, una delle più suggestive della città, soprannominata addirittura il Pantheon di Gallipoli, con un chiaro richiamo al Pantheon di Roma.
Essa sorge in una posizione speciale, lungo la Riviera Nazario Sauro, sui bastioni che guardano verso il Mare Ionio: uno spettacolo che, per il materiale con cui è costruita, appare quasi dorato al tramonto.
La storia
La leggenda attribuisce la fondazione della chiesa allo stesso San Francesco d’Assisi nel 1217 ma, per quanto intrigante, la tesi non risulta essere supportata da alcun documento. Una cosa, però, è comunque evidente, ossia l’arrivo dei frati francescani a Gallipoli nel XV sec. Proprio nel chiostro confinante si vedono segni del loro intervento, così come modifiche apportate alla struttura preesistente e opere che ne decorano l’interno.
L’intero corpo antico della chiesa risale, in ogni caso, al XIII sec. ma, a causa di ristrutturazioni consistenti e successive, il suo passato medievale e originario venne cancellato. Quello che oggi si presenta agli occhi del visitatore è una costruzione barocca, frutto dei mille interventi apportati tra Seicento e Settecento.
Il Barocco, corrente che in quel periodo ha segnato l’architettura, esplode così in tutto il suo splendore nella Chiesa di San Francesco d’Assisi!
Come appare all’esterno

La chiesa barocca con vista sul mare si presenta come una grande costruzione a tre navate.
È dominata da una facciata imponente articolata su due livelli e rifatta nel 1736 da Mauro Manieri. Al piano terra un alto portico ad arco introduce al più arretrato portale; il piano superiore, invece, è costituito, ai lati, da due parti aggettanti e, al centro, da una concava. Sopra tutto, sulla sommità della facciata e a dominare dall’alto, si staglia l’emblema dei Francescani, con le due mani inchiodate insieme, a simboleggiare l’unione indissolubile col Signore. Inoltre un’epigrafe ricorda la data di costruzione della chiesa.
La facciata, specie al tramonto, pare quasi diventare dorata e brillare, diventando estremamente suggestiva. Questo è dovuto al materiale da costruzione utilizzato, ossia il carparo. È una pietra calcarenitica, un tufo calcareo che, per il suo largo uso in Puglia, viene definito più semplicemente tufo. È giallo, quasi dorato e riluce colpito dai raggi del sole.
I tesori al suo interno

L’interno della chiesa appare estremamente maestoso e luminoso, con le tre navate scansionate da due file di paraste, ovvero pilastri, risalenti al tardo Cinquecento. Stucchi del Settecento arricchiscono la decorazione interna.
Le pareti laterali ospitano dieci altari, cinque per ogni lato e, insieme a questi, tante opere di grande valore si disvelano, procedendo ad ogni passo.
Il Pordenone, ovvero il pittore Giovanni Antonio de’ Sacchis, ha donato una pala d’altare raffigurante proprio il santo a cui la chiesa è dedicata, San Francesco d’Assisi. Gian Domenico Catalano, artista gallipolino del XVI-XVII sec. di cui non si hanno, purtroppo, molte notizie, ha donato alla chiesa varie tele, tra cui una con L’Annunciazione e una con S. Antonio Abate.
Stefano da Putignano è, invece, il creatore, nel Cinquecento, di un altorilievo rappresentante San Michele che uccide il drago e di un presepe in pietra locale di estremo valore.
La cappella del “Malladrone”

Tra le dieci cappelle, una particolare menzione merita la cosiddetta “cappella del Malladrone”.
All’interno si stagliano due statue lignee, quelle dei due ladroni con cui Gesù venne crocifisso, ossia Disma, “il buon ladrone”, e Misma, “il malladrone”.

Esse sono opera di Vespasiano Genuino, scultore e monaco del Cinquecento, e, specialmente quella del “Malladrone” è diventata famosa in tutto il mondo. Gabriele d’Annunzio, nel corso del suo viaggio a Gallipoli nel 1895, ne rimase così colpito da definirla in una delle sue opere un’orrida bellezza.
La statua di Misma ha un’espressione terrificante e suggestiva, terribile per l’estremo realismo che tanto aveva affascinato d’Annunzio. Una leggenda racconta che ogni anno le vesti del peccatore che aveva osato insultare Gesù sulla croce si deteriorino, così come il peccato contamina e rode l’anima dell’uomo.
Don Giuseppe della Cuove, castellano di Gallipoli, commissionò la cappella, conosciuta per questo anche con il nome di cappella degli spagnoli.
Una meraviglia dopo l’altra si svela agli occhi del visitatore. Da un lato viene colpito dalla luce divina e dorata del carparo della chiesa di San Francesco d’Assisi. Dall’altro guarda con terrore e timore al “Malladrone” e a ciò a cui il peccato può portare.